mercoledì 1 maggio 2013

La New Age e la Vita Spirituale


Trascrizioni dagli incontri con Carlo Dorofatti in Umbria.



DOMANDA:
Spesso ti sento fare una distinzione tra la “new age” originale e una certa piega che questa new age avrebbe preso, diventando un fenomeno di moda e di business. Ti scagli contro l’idea di questa “salute e benessere”, di questa “prosperità e abbondanza” e dei suoi guru. Puoi specificare meglio la tua posizione e questa particolare distinzione tra quello che intendi per new age e questa modalità attuale al centro della tua denuncia? Inoltre, non è forse spirituale accettare profondamente se stessi, migliorarsi, volgersi verso una vita solare, luminosa, rivolta al bene di sé e degli altri, con serenità intima e senza porsi  necessariamente altri “grilli per la testa”, che in fondo sono forse solo delle illusioni?

CARLO:
Oggi più che una new age, che non ha niente a che fare con quella mitica new age degli annti Settanta, quella di Timothy Leary, di Aldous Huxley o di Terence McKenna, per intenderci, ci troviamo di fronte ad una next age (anche i sociologi si esprimono in tal senso). Mentre la new age propriamente detta si pone il problema di una società, addirittura di una civiltà, nuova - ovvero da rifondare su presupposti diversi, olistici e spirituali -, dopo la grande delusione, negli anni ’80 e ’90 il fenomeno cambia e diventa “next age”: la new age diventa qualcosa di diverso, cioè punta tutto sul benessere dell’individuo. La persona, il singolo, ha il diritto di incazzarsi, di mandare tutti a quel paese, di essere libero ad oltranza, di prevaricare gli altri eventualmente (perché alla fine è così!), perché ha diritto di dire di no, di dire di sì quando e se gli pare, di porsi prima di tutto e di tutti, finalmente. Questo è l’obbiettivo: assolutamente individuale. Non c’è ideologia se non quella del benessere individuale, dei sacrosanti diritti individuali. A parer mio, si è decisamente passati all’estremo opposto: alla religione dell’ego a oltranza, che infatti ben si presta per essere la religione del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, proprio perché in questo modo gli individui, tutti belli separati ognuno a pensare al proprio ego e al proprio benessere senza troppe complicazioni e possibilmente senza impegnarsi neanche più di tanto, sono perfettamente manipolabili.

Questo per quanto riguarda l’intercettazione di una certa ricerca, di un certo sentire. Perfettamente riuscita. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, il discorso è ancora diverso e riguarda quel modello della “persona normale” che spesso andiamo ad invidiare.

La rivoluzione spirituale è qualcosa di molto diverso dal conseguire una visione ed un comportamento etico. Cerco di spiegarmi. Facciamo l’esempio di una persona buona, gentile, in equilibrio con se stessa, che ama la natura, che rispetta gli altri: è generosa, fa il suo lavoro, porta avanti la sua vita osservando un comportamento onesto, integro, senza per questo essere religiosa, ma semplicemente perché ne comprende il valore. Fa del bene, aiuta gli altri, educa i propri figli, gode della vita, svolge bene la sua professione, ha senso civico, fa le sue belle gite domenicali durante le quali si commuove davanti ad un bel tramonto. Magari fa volontariato e cerca di dare alla sua vita un’espressione gioiosa, bella e creativa. Probabilmente una persona così avrà anche successo, starà bene e farà stare bene chi gli è vicino. È  questo spirituale? Secondo me no. Non perché non sia apprezzabilissimo e bellissimo, intendiamoci, ma perchè non ha necessariamente a che fare con la spiritualità, la conoscenza, il percorso verso una consapevolezza superiore. Ed è qui il punto.

Quella persona, sicuramente serena e con meno problemi della seconda tipologia che andrò a citare tra poco, è un’ottima persona, probabilmente saggia, “migliore” di altre e di grande spessore etico. Ma, per quella persona la vita è questa. Punto. Cercherà di trarne il meglio, di comportarsi bene, di rispettarla, di viverla con passione ed entusiasmo, magari con poesia, con amore e rispetto di sé e degli altri. Ma per questa persona la vita è questa. Proprio questa qui.

Per il ricercatore spirituale, persona probabilmente più inquieta e meno solare della prima, semplicemente la vita NON è questa qui. O, meglio, non è SOLO questa qui. È un aspetto, ma la spiritualità non è (o per lo meno non si esaurisce in) questo.

Ecco la differenza. Con tutte le sue conseguenze.

Al di là dell’essere in un certo modo e di tendere a migliorare se stessi e questa realtà, e/o goderne con serenità, ma anche con generosità, altruismo, amore e tutte le virtù che ci possono venire in mente, la ricerca spirituale e del divino, che certamente non nega quanto detto finora, comincia tuttavia da quella intuizione profonda, da quel sentire che… non è quello! Se mai tutti quegli aspetti , certamente di valore e frutto di una certa maturità, possono – non è detto – fare da base per una comprensione ancora diversa. Da quella sensazione in poi comincia l’avventura spirituale.